Il Dolore
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L’uomo della nicchia
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L’Uomo che si considerava immortale e il Barbone.
11 ottobre 2008
L’angoscia e il terrore lo prendevano quando pensava alla morte, al giorno in cui sarebbe arrivata,non accettava il suo essere mortale ed effimero,non accettava il fatto che un giorno anche lui sarebbe sparito come tutti gli altri. Viveva una vita pressoché uguale da quando aveva memoria di se,era il suo modo di sentirsi eterno,una vita che trascorreva segnata da momenti ben scanditi nell’arco della giornata e la percezione del tempo che passava gli dava l’illusione di una effimera eternità. E pure la morte che lui odiava e temeva era generosa con lui,gli dava da vivere e gli permetteva di trascorrere l’esistenza nella sua bellissima illusione,quanti cadaveri vedeva ogni giorno,quanti ricordi della loro vita passata, arraffava,per lui erano un memento, un segno tangibile della sua immortalità. Gli anni passati in questa sua percezione distorta della sua caducità lo avevano allontanato da qualsiasi sentimento umano,lui non cercava nessuno,lui non desiderava essere amico di qualcuno o essere il compagno della vita,ogni tanto la ferinità insita in ogni uomo lo spingeva a cercare un rapporto con l’altro sesso, ma il più delle volte era un rapporto mercenario e privo di qualsiasi aspettativa o speranza. Il più delle volte invece era solo un rapporto virtuale che nasceva nella sua fantasia e moriva al minimo approccio alla realtà. Come poteva innamorarsi, fare gesti d’amicizia,se tutte le persone con cui avrebbe vissuto delle esperienze,sarebbe morte prima di lui? Come poteva sopportare il dolore della perdita per tutta la sua eternità?, questo pensava ogni qualvolta qualcuno si avvicinava a lui e alla fine scientemente poneva subito fine a qualsiasi rapporto interpersonale che poteva sorgere con i suoi simili ed effimeri esseri umani.
Ogni tanto sognava una vita diversa, s’immaginava una vita più terrena una vita più simile agli Effimeri (era così che chiamava gli esseri umani),a volte metteva su carta questi suoi sogni,per lui era bello scriverli e rileggerli, per lui erano il segno della sua divinità, il saper creare mondi dal nulla aveva qualcosa di divino che gli Effimeri non avrebbero mai potuto avere. La sua casa era il suo tempio ed era il suo eremo,lontana da qualsiasi altra abitazione,quasi inaccessibile,per arrivarci si doveva percorrere un angusto sentiero salendo su verso il promontorio.
Regnava il silenzio in quelle quattro mura,un silenzio a volte ammutolito dai rumori che emetteva il vento,la pioggia e ogni tipo di creatura che viveva su quel promontorio. Egli amava quei rumori,gli facevano immaginare la vita dei nostri antenati,la vita che lui riteneva di aver vissuto.
Ogni stanza era piena di ricordi non soltanto suoi ma anche di chi l’aveva preceduto su questa terra,era il suo modo di appropriarsi della vita degl’altri, era il suo modo di vivere in maniera surrogata un vita normale. Era questo il motivo che lo spingeva a conservare tutto,ma nonostante la sua umanità saltasse fuori attraverso questo mero gesto,egli mentiva a se stesso,quando manifestava il suo disappunto nel non conoscere il lontano passato della sua eterna vita. Lo vedeva infatti come un segno di debolezza,come un segno della sua caducità. Si chiedeva infatti il motivo per cui un immortale come lui non avesse ricordi della sua vita millenaria. Un giorno in quella casa iniziò a scrivere una storia,parlava di un barbone dalla capigliatura da frate che vestito con un abito per cerimonie rubava i soldi ai cadaveri che ogni tanto incontrava durante il suo peregrinare lungo le strade del mondo. Questo suo strano personaggio aveva perso il suo impero finanziario,aveva perso le persone che amava. Questo fatto imprevisto aveva fatto capire al barbone che i suo affetti erano tali perché egli garantiva a loro una vita comoda e agiata, si era accorto suo malgrado che esisteva della gente innamorata degli oggetti che rappresentavano il loro alto status economico. Così una volta povero,iniziò una spasmodica corsa alla ricerca del denaro,in ogni luogo in ogni anfratto,ogni occasione era buona per accumulare denaro,doveva tornare ricco,straordinariamente ricco,solo così avrebbe potuto avere degli affetti. La vita gli aveva insegnato che solo donando dei beni materiali poteva sentirsi di nuovo amato e stimato. Chi sa cosa avrà pensato il nostro caro immortale quando iniziò a scrivere questa storia,probabilmente si sarò ispirato a certi film di serie B dove a volte accadono di queste storie,forse avrà voluto descrivere la stupidità umana nel ricercare quei sentimenti tanto indispensabili per ognuno di noi e così rinnegati da lui.
Non sapremo mai come finirà la storia di quel barbone, l’odore nauseabondo che sentivo dalla sua casa,decretava l’interruzione della storia e la fine della sua illusione, anche lui era un “Effimero” anche lui era morto,come qualsiasi essere umano, chi sa cosa avrà pensato quando avrà sentito il momento della sua morte,forse si sarà maledetto per la vita miserrima che ha passato,forse è entrato nel panico quando avrà sentito che la morte stavolta non era stata generosa con lui.
L’ho trovai disteso sul letto, era circondato da una marea di fogli su cui stava scrivendo la storia del barbone. A volte mi piace pensare che sia morto nel sonno,era l’unico modo per continuare a vivere nella sua illusione,era l’unico modo per non patire la paura della morte. Partecipai al suo funerale la gente che gli diede il suo ultimo saluto lo elogiava come serio e stimato professionista sempre disponibile verso gli altri,se avesse potuto vedere il suo funerale avrebbe sbeffeggiato tutti i partecipanti e tutta la sceneggiata che avevano impersonato. Non so perché visse così quest’uomo forse la sofferenza per aver perso qualcuno lo spinse a vivere in quella maniera o forse più semplicemente era un pazzo misantropo,come tanti ce ne sono in giro,non so quale sia la verità, ma di una cosa sono sicuro il suo desiderio d’immortalità il suo rifiuto verso gli altri erano il segno tangibile della sua umanità, era la manifestazione del sentimento della paura,un emozione che ci porta ad essere irrazionali che ci trasforma in vittime e carnefici di noi stessi e degl’altri.
Tratto da: Le favole simposiali dell’erudito ubriacone pag 40-42 Casa editrice Oban.
L’uomo che si considerva immortale e il barbone. Premessa
11 ottobre 2008