Il Golem è diventato un essere umano

Lascia un commento

Aveva perso l’attimo propizio per descrivere il suo sorriso,la sua pigrizia aveva avuto il sopravvento ,ma ora era veramente pentito di non aver ascoltato le parole della sua ispirazione. Era un sorriso notturno,fugace come un raggio di luce che squarcia per un attimo l’oscurità della terra. Se fosse stato un pittore egli avrebbe immortalato l’attimo fugace in cui vide quel sorriso che come freccia ruppe la sua armatura di vetro che distorceva la sua visione del mondo. Egli non era innamorato di lei,era soltanto affascinato dal quel piccolo gesto che inspiegabilmente l’aveva aiutato a vivere in maniera diversa,egli non vide più quel sorriso, ma il suo ricordo rimase indelebile scolpito nella sua mente e in queste parole che non erano sufficienti a descrive ciò che aveva provato.


Dedicato a….

Il Diorama e il Teatrino

Lascia un commento

 

Quella stanza era il suo mondo segreto,un mondo dove lui era dio,dove avea tra le mani il destino di ciò che aveva creato. Questo senso di onnipontenza lo sentiva e lo gustava quando iniziava a dipingere le sue creature,era il momento più sublime,il momento in cui gli balenavano nella mente le immagini di molti possibili finali delle sue storie che avevano il lui l’unico creatore e spettatore. Inizialmente egli creava dei diorama,ma bene presto si stancò,erano statici ed  cristalizzavano solo un momento dell’evento da lui creato,perdendo così la dinamicita delle sue storie. Egli era un uomo medio,viveva del suo lavoro,era una persona rispettatta e stimata,ma non era amata,era solo per via del suo carattere polemico e della superficialità delle persone. A volte pensava di essere una persona pericolosa,egli credeva che se avesse vissuto in un’altro ambiente sarebbe diventato uno spietato assassino,in realtà era un uomo buono che se sentiva sfrustato dalla impunità della classe politica e religiosa del suo paese. Era stanco di vedere la corruzione del potente di turno che governava solo per poter diventare ancora più ricco,spesso allendosi con quel potere illegale che aveva il dovere di mettere in galera. Era disgustato dalla ipocrisia della figure religiose che predicavano pace e amore e universale,ma che in reltà discriminavano i divorziati,gli abortisti,gli omesessuali. Spesso tra le loro file nascevano dei carnerfici di bambini e di donne che prontamente venivano nascosti,negando tuttò ciò che era accaduto. La rabbia che fino a quel momento era stata sotto controllo,esplose quando seppe che tutti i criminali che furono liberati da quel politico avevano continuato a fare stragi in mezza la strada,lasciando dietro di se un corteo di lacrime e sangue che le prefiche politiche piangevano come disgrazia fortuita. In lui balenò l’idea che questi corrotti dovevano pagare,sperava in cuor suo che qualche pazzo più coraggioso di lui avrebbe preso le armi e avrebbe fatto strage di quei ignoranti e corrotti che lo governavano. La rabbia aveva preso il sopravvento la logica political correct era andata a puttane ed era morta di sifilide. Decise allora di mettere in scena la loro morte,chiuso in quella stanza decise di creare un teatrino di pupazzi  in cui simulava attentanti e colpi di stato,era consapevole che era un finzione, ma questa finzione lo faceva sentire meglio, appagava il suo istinto vendicativo e folle. Nella vita reale non fece mai gesti ecclatanti,ma aiutava chi aveva bisogno,era il suo modo di farsi perdornare di tutti quei brutti pensieri che metteva in scena nel suo teatrino. Un giorno la sua troppa enfasi gli fu fatale, mentre stavo simulando un falso colpo di stato e stava spaccando in due il pupazzo del presidente del consiglio,fu colto in fragrante dai carabinieri che erano stati mandati a causa dei rumori molesti che provenivano dalla sua casa. Egli divenne un caso nazionale, i poltici dell’opposizione strumentalizzarono il suo caso,definendolo come un esempio lampante del malessere dei cittadini della loro nazione,nacque un dibattitto tra coloro che lo volevano condannare per apologia di reato e quelli invece che lo difendevano sostenendo che quello che aveva fatto era stato svolto privatamente,senza coinvolgere nessun’altra persona. Le reti televise fecero a gara per averlo ospite era diventato un fenomeno da baraccone usa e getta,molti ricchi apprezzarono il suo talento artistico decisero di commissionargli delle opere,così egli riprodusse le stragi e gli omicidi degli ultimi ventanni e lu sue opere vennero vendute in tutto il territorio nazionale. Al processo l’Artista delle stragi (era ormai definito così dall’opinione pubblica) fu assolto perchè il fatto non sussisteva. Alla sua morte fu ricordato come un uomo buono la cui coscienza civile aveva smosso l’opinione pubblica, al funerale parteciparono moltissime persone ,la vita spesso era ironica,lui che si considerava un uomo indegno d’amare, per via del suo carattere e del suo modo di porsi aveva avuto una manifestazione così calorosa di affetto soltanto da morto!!!!,se fosse stato vivo avrebbe riso di tutto ciò, e inspirato da questo evento avrebbe realizzato una delle sue opere per cui divenne famoso.

Tratto da: Le favole simposiali  dell’erudito ubriacone pag 91  Casa editrice Oban. 

 

Ogni riferimento a personaggi ed eventi è del tutto causale,il racconto è un opera di fantasia che non si attiene alla realtà,l’autore è contrario a qualsiasi forma di violenza ed a qualsiasi pensiero di natura eversiva.                   

 

I Coniugi Dannatio Memoriae

Lascia un commento

 

Nessuno poteva fare a meno di notare lungo le strade del villaggio i coniugi dannatio memoriae,erano sempre insieme (nessuno li hai mai visto separati),il loro modo di vestire era sobrio,ma essi si differivano dagl’altri per via del sacchetto di carta che avevano sulla testa su cui vi erano soltanto i buchi degli occhi e delle orecchie. Ognuno di loro camminava con una lavagnetta dove scrivano ciò che gli bisognava. L’uomo della coppia era un valente avvocato di una grande industria della zona, la cui unica preoccupazione era quella di mantenere i segreti di quella industria e gli intrallazzi che accadevano in quel luogo. Da prima iniziò a togliere internet da casa,egli basandosi su elucubrazioni mentali di carattere giuridico,sosteneva che internet era il male perché diffatto metteva a nudo la vita delle persone e ciò poteva far saltare in aria qualsiasi copertura o qualsiasi segreto che uno doveva mantenere,successivamente tolse pure il telefono perché le chiamate potevano essere intercettate e poi perché voleva impedire alla moglie di poter parlare col prossimo perché vedeva in ciò una minaccia alla sua privacy,per lui nessuno doveva sapere nulla di lui. Chi ricordava la moglie sosteneva che era un gran bella donna di umili origini,era una donna molto intelligente e molto furba,il suo matrimonio fu soltanto di convenienza,ella aspirava di diventare la moglie di una persona di prestigio e con i soldi in banca,ma ben presto capì di aver sposato un uomo ipocondriaco che temeva tutto e tutti. Ella così divenne prigioniera della sua avidità che la costrinse a vivere in mondo di silenzio e di paura. Dopo qualche mese il nostro caro avvocato decise che nessuno doveva più ne vedere ne sentire ne lui ne sua moglie, qualsiasi parola poteva essere controproducente per la sua carriera,ed l’essere visto poteva causare guai ancora maggiori. Un giorno,dopo avere legato la moglie al bagno,decise di andare in ufficio a svolgere le sue normali mansione,ma un evento inaspettato pose fine alla vita che fino ad allora aveva vissuto,si era nascosta nel bagno dell’ufficio una delle amanti del suo capo che era stanca di dover dividere con le altre il cospicuo conto in banca del capitano d’industria decise di rovinarlo,ella sbirciando dalla porta del bagno vide l’avvocato e il capitano d’industria parlare con il linguaggio dei segni del nascondiglio di alcune carte compromettenti. Così tutte le precauzioni del nostro avvocato andarono in fumo,egli fu arrestato per concorso in frode fiscale e maltrattamenti della consorte,poco dopo egli morì in carcere per infarto,mentre la moglie scrisse un libro sul suo matrimonio intitolato :La Paura Della Comunicazione che divenne un best seller da cui fu tratto uno scadente B movie americano.

 

Tratto da: Le favole simposiali  dell’erudito ubriacone pag 80  Casa editrice Oban.                  

La Favola della Mollica

1 commento

 

In un momento imprecisato,un essere che noi potremmo definire dio si sentiva solo,era l’unico che aveva coscienza di esistere in quel vasto ed enorme spazio chiamato universo. Da prima creò un animale,ma vedendo che sporcava e distruggeva quello che toccava preferì farlo scomparire,successivamente meditando sull’accaduto creò un essere a sua immagine e somiglianza che avesse coscienza di se e quasi i suoi stessi poteri. Anche questa volta,sbagliò il suo esperimento, l’essere che aveva creato lo infastidiva parecchio con le sue richieste che lui definiva pretese assurde,allora stanco del suo ciarlale lo tramutò in una bottiglia d’alcool. Ora regnava di nuovo pace ed egli era contento di ciò e della sua invenzione che lo faceva distoglierle dalla solitudine, ( egli infatti una volta ubriaco inventava storie che per lui sembravano reali)senza che qualcuno o qualcosa lo interrompesse o lo contraddicesse. Un giorno in una delle sue proverbiali bevute, vomitò ciò che aveva mangiato (egli aveva anche invitato il mangiare per aver un piacere diverso dal vizio del bere) e dal suo vomito nacque un mondo,un mondo reale e non di fantasia,un mondo con cui poteva giocare senza avere qualcuno che lo infastidisse. Era un pianeta bellissimo, rigoglioso e pieno di verde, il mare era di un azzurro intenso e in tutto il pianeta vi abitavano parecchi animali. Oltre gli animali vivevano in questo mondo gli uomini cerino, cerini di forma umana che portavano un cappello forma di cerino che avevano fin dalla nascita. La loro bellissima regina Minerva regnava con giustizia,ma un brutto giorno fu uccisa da una bizzarra creatura. Un rutto del nostro dio aveva infuso vita in una semplice mollica che presa coscienza della sua esistenza decise di uccidere Minerva e di regnare nel mondo dei cerini. La Mollica attuò una politica di ghettizzazione nei confronti di chi dimostrava di essere fuori della massa, essi furono rinchiusi in un quartiere cinto da mura chiamato Nous Astu dove avrebbero vissuto lontano da tutti e da tutto e alla morte non gli era concessa nessun tipo sepoltura. Il Quartiere era una città nella città dotata di tutti i beni di prima necessità,erano proibiti però libri e televisione, niente doveva uscire o entrare in quel quartiere,nemmeno la polvere dei defunti. Fu attuato un progetto di istupidimento della gente grazie a diverse trasmissioni televisive che miravano a far concentrare l’attenzione su cerini maniaci di protagonismo e sui loro bassi istinti. Furono proibiti la produzione e la conservazione di opere che facevano riflettere sulla vita, la Mollica fondo un accademia di musicisti e cantanti dove veniva insegnato la creazioni di canzonette leggere, canzonette usa e getta che creavano scandalo soltanto per distogliere l’attenzione dalla realtà. Ogni anno si organizzava un festival musicale in cui vinceva sempre la canzone che dimostrava di essere vuota e superficiale. Nella sua mefistofelica mente La Mollica gli balenò il pensiero di creare una religione che potesse ulteriormente imbrigliare la mente dei Cerini. Fino ad allora non esisteva una vera e propria religione, il rispetto reciproco delle idee e delle persone era l’unica forma di culto esistente,ciò non piaceva alla Mollica che introdusse la religione del Pane. Il dio Pane aveva creato il mondo in cui vivevano i Cerini,essi però non erano le creature preferite dal dio Pane,esse erano le creature immonde e peccatrici che avevano sterminato le Molliche le uniche creature che erano simili al dio Pane. L’antico libro del Pane raccontava che creature provenienti dall’inferno avessero mangiato le Molliche che abitavano su questa terra. Grande fu il dolore del dio Pane che decise di mandare su quel mondo una Mollica che potesse redimere i peccatori e prolificarsi. Grande fu lo sconcerto dei Cerini dopo questa “verità” rilevata, molti di essi si arsero vivi,altri si fustigavano quotidianamente, altri ancora vedevano nella Mollica un esempio di virtù e rettitudine da seguire in maniera meticolosa con cieca ubbidienza. La Mollica vedendo che la maggior parte dei Cerini si sentivano dei peccatori e quindi facilmente influenzabili, li convinse a costruire degli edifici di culto in onore del dio Pane, sostenendo che solo la costruzione di edifici di culto e un vita all’insegna della preghiera e della povertà avrebbe permesso loro di mutarsi in molliche alla loro rinascita su questo mondo, riportando così il paradiso descritto nelle antiche scritture. Così la Mollica riusci ad ottenere l’intero controllo della società dei Cerini e divenne l’unico possessore delle ricchezze di quel mondo che un tempo visse in maniera paradisiaca. L’essere che aveva creato quel mondo si era addormentato,non si era curato affatto del mondo che aveva creato, ne ascoltò divertito le preghiere rivolte ad un dio inesistente,forse una volta sveglio avrebbe guardato divertito quella macchia di vomito al cui interno vi era vita intelligente, o forse l’avrebbe distrutta per noia e per frustrazione dato che considerava tutte le sue creazioni degli autentici fallimenti. Se qualcuno avesse avuto coscienza della situazione, sicuramente avrebbe riso in maniera amara,essere dipendenti da una volontà capricciosa e volubile e vivere una vita all’oscuro di tutto affannandosi per altre futili questioni (in confronto a questa) era la cosa più grottesca che l’universo ci avesse regalato in questo suo esistere in maniera sconfinata ed infinita.

 

Tratto da: Le favole simposiali  dell’erudito ubriacone pag 11  Casa editrice Oban.                  

 

L’Uomo che si considerava immortale e il Barbone.

Lascia un commento

L’angoscia e il terrore lo prendevano quando pensava alla morte, al giorno in cui sarebbe arrivata,non accettava il suo essere mortale ed effimero,non accettava il fatto che un giorno anche lui sarebbe sparito come tutti gli altri. Viveva una vita pressoché uguale da quando aveva memoria di se,era il suo modo di sentirsi eterno,una vita che trascorreva segnata da momenti ben scanditi nell’arco della giornata e la percezione del tempo che passava gli dava l’illusione di una effimera eternità. E pure la morte che lui odiava e temeva era generosa con lui,gli dava da vivere e gli permetteva di trascorrere l’esistenza nella sua bellissima illusione,quanti cadaveri vedeva ogni giorno,quanti ricordi della loro vita passata, arraffava,per lui erano un memento, un segno tangibile della sua immortalità. Gli anni passati in questa sua percezione distorta della sua caducità lo avevano allontanato da qualsiasi sentimento umano,lui non cercava nessuno,lui non desiderava essere amico di qualcuno o essere il compagno della vita,ogni tanto la ferinità insita in ogni uomo lo spingeva  a cercare un rapporto con l’altro sesso, ma il più delle volte era un rapporto mercenario e privo di qualsiasi aspettativa o speranza. Il più delle volte invece era solo un rapporto virtuale che nasceva nella sua fantasia e moriva al minimo approccio alla realtà. Come poteva innamorarsi, fare gesti d’amicizia,se tutte le persone con cui avrebbe vissuto delle esperienze,sarebbe morte prima di lui? Come poteva sopportare il dolore della perdita per tutta la sua eternità?, questo pensava ogni qualvolta qualcuno si avvicinava a lui e alla fine scientemente poneva subito fine a qualsiasi rapporto interpersonale che poteva sorgere con i suoi simili ed effimeri esseri umani.

Ogni tanto sognava una vita diversa, s’immaginava una vita più terrena una vita più simile agli Effimeri (era così che chiamava gli esseri umani),a volte metteva su carta questi suoi sogni,per lui era bello scriverli e rileggerli, per lui erano il segno della sua divinità, il saper creare mondi dal nulla aveva qualcosa di divino che gli Effimeri non avrebbero mai potuto avere. La sua casa era il suo tempio ed era il suo eremo,lontana da qualsiasi altra abitazione,quasi inaccessibile,per arrivarci si doveva percorrere un angusto sentiero salendo su verso il promontorio.

Regnava il silenzio in quelle quattro mura,un silenzio  a volte ammutolito dai rumori che emetteva il vento,la pioggia e ogni tipo di creatura che viveva su quel promontorio. Egli amava quei rumori,gli facevano immaginare la vita dei nostri antenati,la vita che lui riteneva di aver vissuto.  

Ogni stanza  era piena di ricordi non soltanto suoi ma anche di chi l’aveva preceduto su questa terra,era il suo modo di appropriarsi della vita degl’altri, era il suo modo di vivere in  maniera surrogata un vita normale. Era questo il motivo che lo spingeva a conservare tutto,ma nonostante la sua umanità saltasse fuori attraverso questo mero gesto,egli mentiva a se stesso,quando manifestava il suo disappunto nel non conoscere il lontano passato della sua eterna vita. Lo vedeva infatti  come un segno di debolezza,come un segno della sua caducità. Si chiedeva infatti  il motivo per cui  un  immortale come lui non avesse ricordi della sua vita millenaria. Un giorno in quella casa iniziò a scrivere una storia,parlava di un barbone dalla capigliatura da frate che vestito con un abito per cerimonie rubava i soldi ai cadaveri che ogni tanto incontrava durante il suo peregrinare lungo le strade del mondo. Questo suo strano  personaggio aveva perso il suo impero finanziario,aveva perso le persone che amava. Questo fatto imprevisto aveva fatto capire al barbone che i suo affetti erano tali perché egli garantiva a loro una vita comoda e agiata, si era accorto suo malgrado che esisteva della gente innamorata degli oggetti che rappresentavano il loro alto status economico. Così una volta povero,iniziò una spasmodica corsa alla ricerca del denaro,in ogni luogo in ogni anfratto,ogni occasione era buona per accumulare denaro,doveva tornare ricco,straordinariamente ricco,solo così avrebbe potuto avere degli affetti. La vita gli aveva insegnato che solo donando dei beni materiali poteva sentirsi di nuovo amato e stimato. Chi sa  cosa avrà pensato il nostro caro immortale quando iniziò a scrivere questa storia,probabilmente  si sarò ispirato a certi film di serie B  dove a volte accadono di queste storie,forse  avrà voluto descrivere la stupidità umana nel ricercare quei sentimenti tanto indispensabili per ognuno di noi e così rinnegati da lui.

Non sapremo mai come finirà la storia di quel barbone, l’odore nauseabondo che sentivo dalla sua casa,decretava l’interruzione della storia e la fine della sua illusione, anche lui era un “Effimero” anche lui era morto,come qualsiasi essere umano, chi sa cosa avrà pensato quando avrà sentito il momento della sua morte,forse si sarà maledetto per la vita miserrima che ha passato,forse è entrato nel panico quando avrà sentito che la morte stavolta non era stata generosa con lui.

L’ho trovai disteso sul letto, era circondato da una marea di fogli su cui stava scrivendo la storia del barbone. A volte mi piace pensare che sia morto nel sonno,era l’unico modo per continuare a vivere nella sua illusione,era l’unico modo per non patire la paura della morte. Partecipai al suo funerale la gente che gli diede il suo ultimo saluto lo elogiava come serio  e stimato professionista sempre disponibile verso gli altri,se avesse potuto vedere il suo funerale  avrebbe sbeffeggiato tutti i partecipanti e tutta la sceneggiata che avevano impersonato. Non so perché visse così quest’uomo forse la sofferenza per aver perso qualcuno lo spinse a vivere in quella maniera o forse più semplicemente era un pazzo misantropo,come tanti ce ne sono in giro,non so quale sia la verità, ma di una cosa sono sicuro il suo desiderio d’immortalità il suo rifiuto verso gli altri erano il segno tangibile della  sua umanità, era la manifestazione del sentimento della paura,un emozione che ci porta ad essere irrazionali che ci trasforma in vittime e carnefici di noi stessi e degl’altri.

        

Tratto da: Le favole simposiali  dell’erudito ubriacone pag 40-42  Casa editrice Oban.                  

La Favola dell’ Armadillo

7 commenti

C’era una volta un  Armadillo che stanco di fumare  sigarette,decise di passare alla marijuana  che da lui stesso era definita l’erba che ti fa arrivare fino alle  porte all’Eden.

 La sua idea  era quella di diventare anche spacciatore,dato che la penuria di lavoro  nella Città  delle Aquile gli impediva di trovare qualsiasi attività decente che potesse soddisfare la sua cupidigia e la sua brama di richezza

L’unico ostacolo ai suoi  piani  era Don Sirena un tricheco di 250 kg che stanco della sua faccia si era  fatto la plastica facciale per somigliare ad un Lamantino.

Don Sirena  controllava di fatto  tutta la città e per ogni cosa si doveva chiedere il suo permesso.

Dopo una lunga trattativa  in cui il nostro Armadillo ha rischiato di diventare un pilastro di una villetta bifamiliare , si giunse ad un accordo, Armadillo aveva il controllo della droga di un intero quartiere, in cambio però 4 volte al mese doveva andare nella Città della Sirena  a rifornirsi di droga  e a riscuotere i debiti che i Capibara avevano accumulato durante gli anni  precedenti.   

Così Armadillo chiamato  Re Marijuana  controllava un vasto quartiere della città, era il quartiere del Pangolino, il luogo dov’era nato è cresciuto, dove  fino a poco tempo fa  veniva  preso in giro per via del suo aspetto e della suo biascicare le parole,ora invece dato che  era lui  che  controllava l’intera zona, si sentiva adesso un Armadillo finalmente felice perchè  ora  era rispettato e temuto e perché ora aveva pure lui una vittima da prendere  in giro e da schernire.

La vittima era Sbirrotto il Limulo, l’ingenuo  ed inesperto poliziotto  di quartiere, con lui

tutti la facevano franca,dal più ingenuo e maldestro dei malviventi  al più astuto ed efferato dei criminali.

Sbirrotto era un  timido  e pavido Limulo  che si auto proclamava di nobile lignaggio per via del suo sangue blu e per via della sua famiglia che vantava un lungo albero genealogico. (il Povero Sbirrotto ignorava che tutti i Limuli avevano il sangue blu!!!!)

Era il 5 del mese ed era ancora buio, Armadillo aspettava al porto del Lemuri  la Spaccio Vini una cantina sociale itinerante che fermava ad ogni porto per far degustare i vini più buoni e più pregiati dell’intera regione.

La Genetta era il comandante della nave, che per  arrotondare un po’  i suoi guadagni  e per non pagare il pizzo, trasportava qualsiasi carico illecito che  veniva nascosto tra le casse di vino e quella del cognac che solitamente portava ai Fossa noti bevitori di distillati. che abitavano la regione dell’ Oban.

L’Armadillo notò subito   gli occhi rossi del comandate  della nave in parte dovuti alla nascita  e in parte dal continuo uso di droghe e alcool e dalla sfrenata  vita notturna nei bordelli della Città della Sirena  dove cercava sempre la  compagnia di lascive Zorille e di prodighe Tarsia.

La città della Sirena  era il regno della criminalità organizzata,ognuno  era libero di fare ciò che voleva, l’anarchia era l’unica legge, ognuno fregava l’altro, in quella città  non vi era ne rispetto per il prossimo  ne il nobile sentimento  dell‘onestà.

Erano passati due anni e Armadillo si era stancato di fare questa vita che di fatto non gli aveva portato molti benefici, decise allora di liberarsi del giogo di Don Sirena, ma per poterlo  fare doveva cercare un potente alleato che lo  potesse coadiuvare nella lotta contro il suo  corpulento e avido padrone.

Durante una cena seppe  dal proprietario del Mosco,( un vecchio Mosco che aveva perso gli aguzzi  canini per pagare l Okapi l’usurario) che Re Tursiope voleva tornare ad occupare la Città delle Aquile da dove era stato  spodestato e cacciato malamente dai suoi sudditi che erano stanchi dalle continue vessazioni che avevano subito durante i 16 anni di regno dello loro re.

Il canuto e sdentato Mosco gli rilevò anche  che doveva cercare la Saiga per poter entrare in contatto con l’esercito di re Tursiope.

L’Armadillo cercò più volte la Saiga ma non vi riuscì, stava ormai per arrendersi, quando in una bisca clandestina  un Quercino che aveva un’enorme debito di gioco  nei suo confronti, barattò  il debito  con l’informazione che da tanto tempo cercava.

La Saiga  faceva il custode del Cimitero del Narvalo che era situato poco fuori città in luogo dove i campi agricoli si estendevano a perdita d’occhio e le poche case erano la sparuta testimonianza della civiltà che era venuta a colonizzare queste terre.

L’ Armadillo era contento di aver trovato un contatto per agganciare re Tursiope, la sua immaginazione  lo aveva portato a credere che la Saiga fosse uno dei prestanti generali o un membro del reparto speciale, grande fu invece  la sua delusione quando dinanzi   a lui vide uno sgorbietto  che si dilettava a suonare l’organo in una stanza piena di libri e di ampolle che contenevano sostanze a lui sconosciute.

La  Saiga insieme al Pecari e all’Orso dagli Occhiali, era in realtà  uno dei scienziati più valenti  della Compagnia dei Delfini (così era chiamata l’organizzazione del re Tursiope  che si stava occupando della invasione della Città delle Aquile), egli era un esperto genetista e grazie al suo immane ingegno  aveva creato  la Borra Canterina  che attraverso il suo canto poteva disgregare qualsiasi materiale esistente in natura  e i Panda Volanti  che con la loro velocità e forza potevano essere impiegati come cargo o come arerei militari.

Ma la sua più grande invenzione fu la creazione di una nuova specie i Colicarus che con la loro musica infettiva faceva stragi di eserciti e civili.

La musica infettiva causava  il progressivo ed inesorabile perdita delle difese immunitarie permettendo a qualsiasi malattia di colpire l’organismo che moriva tra le più atroci sofferenze, i più resistenti erano dei lobotomizzati che camminavo senza una meta precisa fino a quando  non sopraggiungeva la morte affrancatrice di una cotal avverso destino.

La Saiga capì subito la vera natura dell’ Armadillo che era pronto a tradire tutti per il proprio tornaconto,senza serbare alcuna riconoscenza  verso gli altri che l’avevano aiutato a raggiungere ciò che aveva conquistato.

La Saiga che era anche un fine psicologo, usò la brama di potere dell’Armadillo per farsi rivelare tutti i nuovi punti di forza e di debolezza del sistema difensivo e di sicurezza della città  che aveva realizzato  Don Sirena   dopo la fuga del Re Tursiope.

L’Armadillo era al settimo cielo la sua brama di ricchezza poteva finalmente  essere appagata, infatti in cambio dell’informazioni  gli era stato promesso il controllo dell’intera malavita organizzata  ed il titolo di Wallaby che gli avrebbe permesso di diventare uno dei consiglieri del re, nonché governatore dell’Isola  della Sula che si trovava vicino la Città delle Aquile.

Tutto contento stavo tornando in città quando un Orice Killer gli trafisse le carni e lo uccise seduta stante, il sangue inizio a sgorgare dall’armatura del povero animale e il suo corpo giaceva ormai esamine.

Sul suo volto rimase un ghigno che  sembrava più di scherno per via della orrenda  fine che aveva fatto piuttosto  che un segno della felicità  dovuta alla bramosia appena appagata.

La città delle Aquile fu bombardata da 2000 Panda Volanti  carichi di Borra Canterina che sterminò metà della popolazione civile, l’esercito invece  fu annientato dai Colicarus  che con la musica infettiva  uccise i Bufali Cafri, gli Urocioni  arcieri  e i Licaoni kamikaze e le altre compagnie dell’esercito di Don Sirena.

La città fu così occupata e la metà della popolazione sopravissuta riuscì ad immunizzarsi dalla musica infettiva  che col tempo divenne la musica preferita della città  che trasformò i Colicarus da semplici strumenti bellici a star indiscusse del panorama musicale della città.

 

Tratto da: Le favole simposiali  dell’erudito ubriacone pag 28-30, Casa editrice Oban.